domenica 12 luglio 2020

88 PARALISI CEREBRALE CORAGGIO

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Abbiamo detto che il primo lato lo fornisce lo stato. 
Tutti i cittadini hanno uguale diritto ad una vita normale. 
Per quelli disabili, che non possono vivere e lavorare normale, è lo stato a prendersene cura. I comune sono lo strumento dello stato nelle città. 
Gli assistenti sociali lavorano nel comune e aiutano direttamente le persone disabili. 
Lo stato e il comune non possono fare tutti i lavori, perciò cercano qualcuno che possa organizzare il lavoro con i disabili, con leggi e regole. 
Il secondo lato sono le cooperative sociali. Per loro questo lavoro è un business; forniscono centri diurni in posti che sono comodi per i disabili ma anche trasporti, mobili, personale, fondi e altro... 
Il terzo lato siamo noi consumatori di questi beni – disabili e famiglie con problemi – che lo stato vuole aiutare. 
Siamo un lato molto speciale e di cui bisogna parlare di più. 
Chi siamo? 
Siamo i più buoni, perché i nostri angeli vivono con noi e ci danno la loro splendida energia. 
Non pensiamo mai al male, perché il male è sempre con noi, e sappiamo quanto sia tremendo. 
Siamo ancora più buoni lavoratori, perché altrimenti rimaniamo in miseria. 
Siamo sensibili, perché soffriamo più degli altri. Siamo più combattivi, perché abbiamo i nervi sempre iperattivi. 
Vogliamo di più per le nostre famiglie, come qualche buona parola per i nostri malati, i nostri angeli con corpo terreno. 
I disabili non sempre fanno quello che ci aspettiamo da loro, a volte sono imprevedibili anche per noi, per questo abbiamo le nostre paure, perché abbiamo paura di non essere ben capiti, soprattutto quando i nostri malati attraversano periodi difficili o sono aggressivi. Questo punto di vista, ogni tanto, aiuta, ci permette di supportare questo terzo lato, in aiuto con il secondo. 
Ci sono tanti problemi infatti che stanno tra le famiglie e gli operatori del centro. 
Quando i ragazzi disabili vanno in un centro diurno: 
si sentono bene in compagnia; 
si sviluppano di più (dipende dello stato mentale); 
fanno diverse attività, imparano nuove cose, che aiutano a passare il tempo (leggere, cantare, ballare, lavoro al computer, fare fotografie, stampare, disegnare, curare i fiori e cetra). 
Nel centro diurno si organizzano attività, con cui imparano cose utile per la loro vita quotidiana (andare al bar, andare in negozio, fare la spesa, pagare con i soldi e con la carta, cucinare, apparecchiare e sparecchiare la tavola, organizzare un menù per il pranzo. 
Organizzati, vanno insieme in palestra, in piscina, in posti di lavoro fuori dal centro diurno. Se stanno un può meglio e sono auto-sufficienti, possono lavorare, qualche ora nel giorno. Quando un ragazzo disabile va in un centro diurno, si risolvono anche i problemi in famiglia: la madre può lavorare e la vecchiaia appare più sicura (che lo vogliate o no, questo tempo viene, piano piano); 
il centro diurno è un’alternativa e i genitori si sentono meno in colpa; 
la mamma, soprattutto, scopre un nuovo modo per essere utile alla famiglia, può realizzare i suoi desideri e pensare un po’ alla sua vita, sentendosi “persona”. Nel tempo libero, può trovare nuove soluzione per i figli, la famiglia, il lavoro, il futuro del malato. 
Ho portato mia figlia in Italia quando aveva 32 anni. 
Speravo di vedere realizzato per lei il futuro della ragazza Down che assistevo. 
Pensavo fosse colpa mia quel sorriso sempre assente sulle labbra. 
Aspettavo, sognavo, di vederla felice. Per otto anni ha partecipato ad un centro diurno ed ecco la differenza:
 vedo il sorriso sul suo viso; 
al mattino si sveglia presto, quando deve andare là; 
aspetta ansiosa quando suona il campanello perché sa che vengono a prenderla; 
quasi con fretta va verso il pulmino... e torna sempre felice. 
La sera mi sembra che voglia condividere qualcosa... anche se le 
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